18 ottobre 2008

LA FESTA DELLA DELLA TRASLAZIONE (SAN PANTALEONE DI MAGGIO)

La nostra comunità ecclesiale celebra nella terza domenica di maggio la Traslazione della reliquia del sangue di San Pantaleone, trasferita nel corso del XVII secolo dall’antico altare alla cappella “nuova”, costruita là dove erano l’altare del SS.Crocifisso e quello del Presepe. “Il sangue del glorioso martire San Pantaleone si conserva in una grande ampolla in vetro fermata da una custodia di argento antico”, si legge nella visita pastorale di mons. Paolo Fusco, iniziata il 16 settembre 1577. La reliquia era custodita a sinistra dell’altare maggiore, in un posto chiamato “finestra”, scomodo, pericoloso e non certo dignitoso, munito di un cancello in ferro con quattro chiavi, “delle quali una devesi conservare dal vescovo, l’altra dal tesoriere del capitolo, una terza dai nobili e la quarta dalla città”, sotto il quale era un piccolo altare dedicato al martire. Vi si accedeva mediante una scala “portatile non senza grande ed evidente pericolo sia nell’ascendere che nel discendere massimamente per il sangue di S.Pantaleone Mart. che, conservandosi in un vaso di vetro, facilmente può rompersi e riversarsi”, come riferisce mons. Francesco Bennio il 10 giugno 1604. Il prelato invitò, pertanto, a realizzare una scala “in fabbrica” o, in alternativa, a deporre l’ampolla in un luogo più sicuro ed ordinò che ogni cinque anni la reliquia fosse portata in processione. Del resto le processioni dovettero essere frequenti, specialmente nei momenti di carestie e di epidemie, che flagellarono la città a partire dal XVI secolo: “a dì 15 maggio 1585 hanno fatto processione generale in la città di Ravello portando lo sangue di San Pantaleone per la terra con vergini scapillate per la carestia accascata”, scrive il notaio Mandina.
Nel 1617 mons. Michele Bonsio ordinò che il sangue fosse custodito in un luogo più sicuro e meno alto, quindi, nel 1632, fu stipulato il contratto con i maestri marmorari che avrebbero ultimato i lavori nell’anno seguente. In occasione del sinodo diocesano del 1695 mons. Luigi Capuano, patrizio napoletano di origini amalfitane, ordinò che il sangue venisse posto al centro dell’altare della cappella “noviter costructa” e che fosse celebrata nella terza domenica di maggio la festa della traslazione con rito doppio. Il sangue, dopo essere stato esposto alla pubblica venerazione con le altre reliquie, fu portato in processione per la città “continuo campanarum sonitu”, col suono continuo delle campane, per poi essere riposto nel nuovo reliquiario “ad hoc extructo et ornato”, costruito appositamente ed ornato. A tal proposito, per volere di mons. Giuseppe Maria Perrimezzi (1707-1714), durante l’esposizione e la processione, l’ampolla doveva trovarsi tra due “luminari di cera” portati da due chierici mentre un sacerdote, o, “raramente”, un magnate aveva il compito di far vedere il sangue per mezzo di una candela posta in cima ad un’asta.
Va notato, inoltre, come il miracolo sia avvenuto eccezionalmente anche in occasione della festa della traslazione del 1718, secondo quanto annota mons. Nicola Guerriero nella sua Visita Pastorale. Nelle ore pomeridiane del 21 maggio 1922, invece, si verificò la liquefazione “a metà” del prezioso sangue, perdurata fino al giorno dell’ottava, con “grande movimento nel Capitolo e nel popolo”, che colse in quel segno straordinario una visibile approvazione data dal patrono alla luce elettrica “inaugurata in questa basilica il giorno 21”.
Sorprende, purtroppo, come le origini di questa festa siano state ben presto travisate dai fedeli. Non a caso il canonico don Luigi Mansi, autore della “Ravello Sacra-Monumentale” (1887), oltre a ricordare l’istituzione della festa del patrocinio (Lunedì in albis), avvenuta nel 1883, sentì il dovere di precisare le origini autentiche della celebrazione di maggio, riferite “malamente” alla traslazione dell’ampolla dal Convento di S. Trifone. Recuperare il messaggio storico e religioso nella sua autenticità costituisce il primo passo per celebrare in modo adeguato questa ricorrenza, in comunione con quella “Civitas Ravelli”, oggi così lontana, che quattro secoli fa affidava al “suono continuo delle campane” un messaggio di gioia, di onore, di lode alla Trinità e al suo Santo Patrono.

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