10 ottobre 2008

RAVELLO CELEBRA SAN PANTALEONE - UNA SECOLARE TRADIZIONE DI FEDE

La festa patronale costituisce ancora oggi per la nostra città un momento speciale di preghiera e di gioia, un’occasione per rinnovare spiritualmente la comunità e per rinsaldare i legami con le origini di una tradizione secolare, che magnifica il “dies natalis” (27 luglio) di Pantaleone da Nicomedia, martire e taumaturgo, presente in mezzo a noi attraverso la reliquia del suo sangue. Dolci arie sinfoniche, che non ci stancheremmo mai di ascoltare, cariche come sono di ricordi e di emozioni, allietano l’attesa della vigilia e la solennità del giorno festivo, richiamando cittadini e forestieri nelle strade di un paese vestito di luci e di colori. La comunità si predispone alla solennità liturgica con un mese di preparazione culminante nel solenne triduo: il 25 luglio, antivigilia festiva, sul far della sera, le campane a distesa accompagnano il canto del “Te Deum” mentre lo scoppio dei “colpi in scala” diffonde per le contrade un’aria di festa.
La solenne esposizione della statua, seguita dal canto dei Vespri, costituisce l’incipit delle funzioni religiose: le messe comunitarie del mattino, il solenne pontificale e la messa vespertina scandiscono i momenti del giorno festivo. “Qui è custodito il sangue di un martire e qui nel mattino di Festa del Santo l’abitante del villaggio ha un’aria gioiosa e cordiale e tra le antiche e solitarie rovine avverte che un sacro talismano è presente sempre”, scriveva monsignor Ferdinando Mansi, autore dell’Inno in latino, nel libretto “La mia Patria, Ravello ”, recante la data del 27 luglio 1868. La liquefazione inizia “dai primi vespri della festa e rimane così per tutta l’ottava fino al tramonto di alcuni giorni dopo”, si legge nella Visita Pastorale del 1577 mentre dalla relazione di mons. Bernardino Panicola (1642 – 1666) apprendiamo come il miracolo avvenisse “non senza ammirazione di tutta la Provincia e del Regno”.
Fino alla fine del XIX secolo le porte di accesso al reliquiario venivano aperte solo dai primi vespri quando il clero, raccolto in preghiera attorno all’altare, intonava il canto “Deus tuorum militum”. Osservando la reliquia anche nei giorni precedenti la solennità, si constatò, poi, come il fenomeno iniziasse gradualmente per “essere perfetto nel dì della festa”. La presenza del sangue che, misteriosamente vivo a distanza di secoli, nell’anniversario del martirio diviene limpido, di color rosso rubino, “ac si iam recens effusus”, quasi di recente sparso, non si esaurisce, però, in un semplice vanto, costituendo un invito permanente a cogliere la provocazione del “Misericordioso” per attualizzarla con spirito di vera Fede. La solennità ha finito per caratterizzare anche la cucina popolare con piatti semplici di tradizione contadina: se oggi il pranzo dei tradizionalisti è allietato per lo più da pietanze a base di patate e zucchine, per secoli i ravellesi hanno onorato la ricorrenza annuale con pollame farcito di mele, presente anche nel “prandium de ipsis clericis”, consumato presso la mensa vescovile. Non si tralascia di ricordare come, all’inizio dell’ottocento, nell’atrio della chiesa di Sant’ Agostino fosse rappresentata “La Fede in Trionfo per lo martirio del glorioso San Pantaleone, opera tragica sacra” di Don Nunziante Garzillo da Solofra.
I solenni festeggiamenti, resi possibili grazie alla generosità dei ravellesi e all’impegno dei membri della Commissione per le feste, sono così diventati un evento speciale in grado di attirare migliaia di persone in questa “città antica da sempre aperta a una vocazione internazionale” ma non dimentica delle proprie radici. A mezzanotte le campane a distesa riecheggiano tra le contrade sonnolente e chiudono il giorno solenne: una dolce malinconia pervade la piazza, che lentamente si svuota mentre le luci della festa si spengono e l’atmosfera incantata lascia spazio alla quotidianità. E’ dono di grazia trovare la comunità di Ravello attorno alla mensa eucaristica nel “dies natalis” di “Pantaleemone”, ma la vera festa può esaurirsi in una semplice memoria senza diventare spunto per un autentico rinnovamento cristiano? Certamente no. Le virtù del giovane martire di Nicomedia, che ha donato la sua vita per Cristo, confessando coraggiosamente la fede nella divinità di Gesù di Nazareth, unico Salvatore del mondo, siano per la nostra comunità radici salde nel vivere quotidiano. L’esempio luminoso, l’eroica testimonianza di vita evangelica e la misericordia del Santo Patrono ci aiutino a seguire fedelmente Cristo e a servirlo con maggiore generosità nel Suo Corpo Mistico, la Chiesa. Avremo onorato nel migliore dei modi il nostro medico celeste che dall’alto ci assiste e ci benedice.